Uve da vino: una grande famiglia - Scienza in cucina - Blog - Le Scienze

2022-09-17 13:07:29 By : Mr. Sunny Sun

Al mondo sono note almeno 10.000 diverse varietà di viti, coltivate su 8 milioni di ettari, la maggior parte dei quali producono uva da vino mentre una minoranza uva da tavola.

Le evidenze archeologiche mostrano come la domesticazione della vite risalga almeno a 6000-8000 anni fa in una zona tra il mar Caspio e il mar Nero. Fu allora che i primi esemplari di vite selvatica (Vitis vinifera subsp. sylvestris) vennero domesticati, selezionando e coltivando le piante con le caratteristiche dei frutti desiderate. Le migliaia di varietà di vite (Vitis vinifera subsp. vinifera) coltivate oggi sono discendenti da quei primi esemplari e da incroci spontanei successivi sia con varietà selvatiche presenti in vari paesi che con varietà già coltivate. La coltivazione raggiunge 5000 anni fa la valle del Giordano, la mezzaluna fertile e l’Egitto e i paesi europei occidentali circa 2800 anni fa.

Negli ultimi anni le tecniche di analisi genetica sono state applicate con successo alla vite. Abbiamo già raccontato di come in questo modo si sia riusciti a stabilire come lo Chardonnay sia un incrocio tra il Pinot e il Gouais blanc.

A mano a mano che le tecniche di analisi del genoma diventano più veloci, accurate e poco costose, emergono molti dettagli in più sulla storia degli incroci che ha subito la vite dalla domesticazione sino ai giorni nostri.

L’ultimo studio in ordine di tempo, il più vasto sinora in questo campo, è dovuto a Sean Myles e collaboratori che hanno pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Science) un’analisi delle relazioni di parentela tra 1009 esemplari di viti custodite nella collezione dell’USDA, il ministero dell’agricoltura americano (950 vinifera e 59 sylvestris).

Vi ricordate gli studi che hanno dimostrato come lo Zinfandel californiano, il Primitivo di Gioia e il Crljenak kaštekanski croato siano in realtà lo stesso vitigno? L’analisi genetica di Myles delle 950 varietà di vinifera ha mostrato come una larga parte (551, il 58%) siano "copie" di almeno un altro membro della collezione. In altre parole molte varietà in precedenza classificate come diverse in realtà sono geneticamente identiche. La collezione quindi include solo 583 varietà geneticamente diverse. Myles e soci hanno poi stabilito che i tre quarti di queste varietà uniche sono in realtà imparentate con almeno un’altra varietà o con una relazione di padre-figlio oppure di fratellanza.

Questa analisi ha permesso di trovare entrambi i genitori per 83 varietà. Se manca uno dei genitori però non si riesce a stabilire chi è il padre e chi è il figlio e quindi tutto quello che si può dire è che vi è una relazione di parentela di primo grado. Dallo studio di tutte le relazioni di parentela emerge una rete molto interconnessa che collega quasi tutte le uve della collezione. 384 varietà sono direttamente connesse: in altre siamo in presenza di una unica grande famiglia di vitigni, tutti imparentati tra loro, che include la maggior parte dei membri della collezione studiata.

Nel grafico, preso dall’articolo, potete vedere una parte della rete: alcune relazioni erano già state notate: Il Merlot  ha una relazione di primo grado con il Cabernet Franc, che incrociato con il Sauvignon Blanc ha dato origine al Cabernet Sauvignon. Il Traminer, un vitigno molto vecchio, ha una relazione di primo grado con venti altri vitigni. Ad esempio con il Sylvaner, il Sauvignon blanc e con il Pinot nero. C’è poi la famiglia più piccola (non mostrata in figura) dei moscati dove il Moscato di Alessandria (da noi chiamato Zibibbo), originario dell'Egitto, è il più imparentato.

“ipotizziamo che questa struttura con un unico pedigree sia il risultato di un piccolo numero di incroci effettuati tra varietà di elite che sono state propagate per via vegetativa per secoli” “queste osservazioni suggeriscono che la riproduzione della vite si è limitata ad un piccolo numero di varietà coltivate e che solo un piccolo numero di possibili combinazioni genetiche della vinifera è stato esplorato”.

L’articolo principale non ne parla esplicitamente, ma se andiamo a leggere le tabelle di supporto all’articolo vediamo che la collezione analizzata contiene 52 vitigni italiani vinifera (più 14 sylvestris). Il paese più rappresentato è la grecia con 88 vitigni seguita dalla Francia con 60, poi l’Italia con 52 e la Russia con 33 vitigni. Come vedete si tratta solo di una piccola parte delle migliaia di varietà esistenti.

Leggendo la tabella S5 si scopre che alcuni vitigni che non sono connessi con la grande famiglia sono Italiani. Non risultano parenti di nessuno Aglianico, Bonarda, Barbera, Dolcetto, Grignolino, Grillo, Greco bianco, Lagrain, Nebbiolo fino, Teroldego, la Vernaccia di San Gimignano, la Vernaccia sarda, la Vernaccia Bianca, il Fermentino Favorita e qualche altro.

C'è poco altro per i vitigni italiani: il Negro Amaro risulta un clone del Nebbiolo Tronero (di cui ignoravo l’esistenza. Forse è il Nebbiolo di Dronero?) e padre o figlio del Sangiovese.

Il Nerello calabrese è padre o figlio del Sultanina rosè. Il Troja è padre o figlio del croato Plavac Mali.

Insomma, tenendo conto, come avvertono i ricercatori, che alcune attribuzioni di nomi nella collezione dell’USDA possono anche essere errate, insieme all’assenza di molti vitigni, possiamo dire che la mappa del vino italiano è ancora tutta da esplorare. Ci sono degli studi in atto, ma ne parleremo una prossima volta.

Le uve coltivate al giorno d’oggi sono sottoposte ad una forte pressione da parte di varie malattie e parassiti, e quindi ricevono normalmente moltissimi trattamenti con sostanze chimiche (anche le uve coltivate in maniera biologica) per proteggerle da insetti, muffe, funghi e patogeni vari.

Questa suscettibilità alle malattie, secondo Myles, non è dovuta ad una ridotta variabilità genetica. Anzi: la vite mantiene una biodiversità molto elevata. Tuttavia questa, considerando l’insieme di tutte le varietà di vite esistenti (anche se non necessariamente coltivate commercialmente) non è ancora stata sfruttata a pieno per produrre varietà resistenti. Il motivo principale è che commercialmente la vite viene propagata per via vegetativa. A tutti gli effetti per molti vitigni sono secoli che si piantano dei cloni tutti uguali. I geni presenti nelle diverse varietà non vengono scambiati e diffusi come accadrebbe se la vite si riproducesse per via sessuata, mescolando quindi i geni dei due genitori. Una eventualità di questo tipo però è contro l’idea stessa di mantenere un particolare vitigno “immortale” nel tempo in modo che si possa produrre del vino di qualità, contando sempre sulla stessa base genetica.

“le ultime migliaia di anni di selezione e incroci della vite hanno esplorato solo una piccola frazione delle possibili combinazioni genetiche e che i tentativi futuri di breeding, usando la selezione assistita con marcatori, hanno una diversità enorme a loro disposizione per produrre uva da vino e da tavola”

“Lo sviluppo di un’industria del vino e della vite ecologicamente sostenibile potrà contare su questa incredibile biodiversità caratterizzando geneticamente le collezioni di germoplasma nel mondo e usando tecniche di breeding assistite da marcatori per produrre varietà migliorate”.

Ora, con il genoma della vite decodificato, sono noti numerosi geni che offrono una resistenza ad alcuni patogeni e parassiti, sia nelle varietà selvatiche sylvestris che in quelle coltivate, soprattutto nelle aree marginali. Gli scienziati pensano di trasferire questi geni di resistenza nelle varietà commerciali che più soffrono di attacchi e che più necessitano di trattamenti. Questa possibilità però non è ancora stata esplorata a fondo.

Come è possibile trasferire un gene che rende una vite selvatica resistente ad un fungo in un’altra vite, magari un Merlot? La tecnica del DNA ricombinante permette di effettuare un “taglia e cuci”: tralasciando i dettagli tecnici e le complicazioni si preleva il gene desiderato e lo si inserisce nella pianta che si vuole trasformare. La pianta ottenuta avrà ancora le stesse caratteristiche del Merlot di partenza, la stessa capacità di produrre ottimo vino, ma non avrà bisogno di trattamenti per quel fungo per cui è stata resa resistente.

Figo vero? Beh, non tutti la pensano così. Il mondo del vino usa la tradizione come strumento di marketing, e questo è chiaramente in contrasto con l’uso di biotecnologie non ancora “digerite” dalla maggior parte dei consumatori. Sì perché prelevando il gene desiderato da una vite e trasferendolo in un’altra rende la pianta automaticamente, dal punto di vista legale, un OGM. E grazie anche alla disinformazione che in questo campo è diffusa a piene mani (da Greenpeace, da Slowfood, da Capanna, da ex ministri, da Coldiretti, e persino da trasmissioni che normalmente si occupano di UFO) questa via non è praticabile al momento. Da tempo si effettuano prove di campo di viti transgeniche rese resistenti a vari tipi di patogeni o con caratteristiche migliorate, anche in Italia, ma non c’è nessuna possibilità che a breve vengano utilizzate commercialmente.

Quindi che cosa si può fare per sfruttare tutta la biodiversità genetica della vite? Posto che il modo migliore sarebbe probabilmente di trasferire solo i geni interessati con la tecnica del DNA ricombinante, è sempre possibile effettuare dei normali incroci per riproduzione sessuata. Tuttavia in un incrocio ogni genitore dona il 50% dei propri geni alla pianta figlia, e questo è un problema se vogliamo mantenere intatte le caratteristiche di una pianta. Facciamo un esempio ipotetico e supponiamo di voler incrociare un Merlot con una vite selvatica che è naturalmente resistente ad esempio alla botrite o “muffa grigia”, un fungo patogeno che viene normalmente trattato nei vigneti. Se durante l’incrocio il gene di resistenza alla botrite viene trasferito la pianta figlia non avrà bisogno di trattamenti. Avrà anche acquisito il 50% dei geni, in modo casuale, del Merlot. Solo il 50%, e quindi quasi sicuramente le sue caratteristiche, compresi aroma e sapore, non saranno quelle del Merlot, esattamente come un figlio assomiglia ai genitori ma non può mai esserne la copia identica. Con incroci successivi si possono "rimettere" altri geni ma non tutti.

L’ideale sarebbe poter trasferire solo il gene che interessa, in modo tale da non alterare le altre caratteristiche. Ma abbiamo visto come questo, al momento, non sia una via percorribile.

Quello che si può fare allora è provare ad effettuare un gran numero di incroci e selezionare quelli in cui, casualmente, sono stati trasferiti i geni che interessano. Per verificare quali geni sono stati trasferiti si usa la tecnica dei marcatori (immaginatevi delle bandierine distribuite sul DNA che indicano la presenza di particolari geni), da cui il nome MAS: Marker Assisted Selection (Selezione Assistita da Marcatori). È una tecnica che viene utilizzata con successo da tempo per verificare quali geni sono stati trasferiti durante un incrocio, ma nel caso della vite non ha ancora dato risultati commercialmente interessanti. Il problema principale è che sequenziando il genoma della vite si è scoperto che ci sono almeno 150 geni  responsabili dell’aroma e del sapore, il triplo dei geni presenti in altre piante. Se volete che il vostro Merlot rimanga tale in un incrocio dovete come minimo trasferire buona parte di quei 150 geni. La MAS permette di sapere quali geni dei genitori sono finiti nei figli, ma non aiuta a trasferire quelli desiderati e a escludere quelli indesiderati. E se non vogliamo usare le tecniche che permetterebbero al Merlot di rimanere esattamente un Merlot, ma resistente e sostenibile ecologicamente perché ridurrebbe l’utilizzo di fitofarmaci, prima o poi suggerisce Myles dovremo rassegnarci ad utilizzare dei nuovi incroci resistenti, sfruttando la biodiversità esistente. Pazienza se non lo potremo più chiamare Merlot e se il vino magari sarà diverso.

Myles S, Boyko AR, Owens CL, Brown PJ, Grassi F, Aradhya MK, Prins B, Reynolds A, Chia JM, Ware D, Bustamante CD, & Buckler ES (2011). Genetic structure and domestication history of the grape. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America PMID: 21245334

Scritto in Genetica, Uva, Vino | 279 Commenti »

Dario, anch'io nell'antispam, evviva!, mica perché sono extracomunitario che voglio favoritismi!

Premesso che son d'accordo con Yopenzo sulla superiorità francese nel far vino (circa le uve, invece, non saprei cosa dire di fronte alle argomentazioni a suo tempo svolte da Guidorzi), mi è venuto in mente un caso che mi capitò qualche anno fa. Eravamo nel 1999. Mi arriva in casa un vecchio amico, dalla Sardegna, senza preavviso. Lui ama il vino buono e, lì per lì, non so cosa offrirgli. Poi mi viene in mente che nella mia dispensa (non "nella cantina", eh) ho una vecchia bottiglia di Barolo etichettata 1969. Sempre tenuta malissimo: in piedi, al caldo, senza alcun riguardo, ha già "fatto" con me quattro traslochi... Per sfida dico: la apriamo? Quasi certo di dover butare via il tutto.

Be' che ci crediate o no era perfetto. Stupendo. Buonissimo! Ancora adesso lo racconto con stupore.

@ hector Io non compro biscotti Ikea, cerco di comprarne di 'decenti' nei supermercti normali. Orbene, qui in Spagna (ma temo anche in Italia, controllerò la prossima volta che mi troverò lì) QUASI tutti i biscotti contengono grassi idrogenati, spessissimo nascosti sotto il nome di 'grassi vegetali'. Gli unici tipi di biscotti che compro, infatti, sono quelli 'danesi' di cui se non altro si sa a priori che contengono burro, nel bene e nel male, e i savoiardi, che nella formulazione tradizionale (ma qui si trovano anche 'spuri') contengono farina, zucchero, uova e gasificante, per cui il grasso lo apporta solo l'uovo. Una volta (cinquant'anni fa) erano buoni i biscottini di Novara, fossero o no di Pavesi: hai provato a guardare la composizione attuale? Spesso faccio in casa un pane 'dolce' nel senso che lo indolcisco con zucchero scuro (per il sapore) e cui aggiungo semi di vario tipo, un pochino di olio extravergine, pimento e cannella in polvere. Fatto a fette, si conserva abbastanza a lungo e sostituisce egregiamente i biscotti (però non ho l'usanza di inzupparli nel vino).

Va be', non era importante, comunque pare che anch'io sia caduta nella rete dell'antispam. Fino a quante righe si possono scrivere? o è diventato una specie di twitter? a saperlo, uno si regola.

Franco, anche se col tuo Barolo di 30 anni hai avuto un c. grande come una casa, allo stesso tempo dimostri come vini possenti e perfetti all'origine (e con tappo altrettanto perfetto) riescano a sopravvivere - a volte - pure in condizioni estreme, fatto che rende questo "alimento" uno dei più straordinari prodotti dell'umanità. Zan! zan!©

va be', stasera davvero l'antispam è come il confine tra le due Coree. Non si passa.

Sono perfettamente d'accordo con te perchè ho visto lavorare i francesi ed ho discusso con loro e con i viticoltori. Gli uni hanno una tecnologia che solo poche cantine italiane hanno, mentre i viticoltori possiedono un'imprenditorialità che il nostro vignaiolo medio non ha.

Quello che mi fa venire il nervoso è che chi in italia arriva a possedere la tecnologia dei francesi, ottiene anche lui dei vini paragonabili ai similari francesi. Ma allora siamo solo degli indolenti e non meritiamo il dono di buone uve che quasi tutti gli anni il nostro clima ci da.

Il discorso purtroppo è trasferibile a tutta l'agricoltura italiana. Vi racconto una mia esperienza personale. Io sono andato in Francia a lavorare a 26 anni dopo la laurea ed il servizio militare. Dunque avevo già una formazione universitaria ed ero figlio di agricoltori, ebbene vi devo dire che la cultura media degli agricoltori francesi mi ha fatto impressione, discutevano con me, tenendomi testa, di tecnica agricola d'avanguardia, solo che io l'avevo appena studiata sui libri ed ero impacciato a metterla in pratica mentre loro ne avevano la padronanza totale. Ciò che sapevano i francesi sui diserbi nel 1966, in Italia gli agricoltori italiani l'hanno acquisito 20 anni dopo. Perchè? la ragione che mi sono dato è stata che il loro redito derivavava per gran parte dalla produttività, mentre noi la raggiungevamo con i prezzi elevati e con valori fondiari che erano un vero e proprio salvadanaio. L'ingegno era una variabile indipendente per noi e dipendente per loro, ecco la differenza!

@Alberto (delle 15.17): se la metti così non posso che trovarmi d' accordo con te. Oltre tutto sai meglio di me che la via classica e quella transgenica (e mettiamoci pure quella mas) meritano entrambe di essere perseguite fino a sfruttarne a pieno le potenzialità.

Resta comunque la constatazione che Strampelli & soci hanno ottenuto (e pure in lassi di tempo paragonabili) sulle rese, incrementi quantitativi nettamente superiori rispetto a quelli realizzati in 10-15 anni dai ricercatori di Monsanto e delle varie università biotech sparse per il mondo.

copincollo da uichipidia: Nel XII secolo, l'Aquitania diventa un ducato inglese in seguito al matrimonio di Eleonora d'Aquitania con Henri Plantagenêt, conte di Angiò e re di Inghilterra sotto il nome di Enrico II. Il commercio vinicolo si sviluppa. imvo, tutto il segreto sta in questa frasetta: questi sono quasi 900 anni che fanno e vendono vino, e hanno cominciato con dei bei rompicoglioni come clienti!

Premetto che io venti anni ho scritto che se avevano dato il premio Nobel per la pace a Borlaug, avrebbero dovuto darlo postumo a Strampelli, perchè aveva fatto esattamente il lavoro di Norman Borlaug ben quarant'anni prima. Aveva solo un handicap aveva lavorato sotto il fascismo..... e quindi non aveva acquisito i "meriti" di Dario FO.

Circa la tua seguente frase:

"Resta comunque la constatazione che Strampelli & soci hanno ottenuto (e pure in lassi di tempo paragonabili) sulle rese, incrementi quantitativi nettamente superiori rispetto a quelli realizzati in 10-15 anni dai ricercatori di Monsanto e delle varie università biotech sparse per il mondo."

MI permetto di raccontarti come è andata. La Monsanto è stata la prima che ha pensato di sfruttare le biotecnologie appropriandosi di ditte sementiere. Vi erano due ditta sementiere che potevano fare al caso: la Pioneer e l'Asgrow. La prima costava molto ed era restia a farsi comprare, la seconda, che era di proprietà della ditta franaceutica Upjhon che stra l'altro aveva già ipotizzato la strategia messa in atto poi dalla MOnsanto, fu allettata dall'offerta e gli azionisti decisero che era meglio vendere che indebitarsi con grandi investimenti rischiosi. Inoltre l'Asgrow era leader nella soia che invece interessava poco agli altri sementieri, perchè autogama, ma coltivata su tantissimi ettari.

La Monsanto, venuta in possesso delle sementi non investì più di tanto per migliorarle , ma si preoccupò di modificarle geneticamente, contando siul fatto che la modifica genetica fosse di per se stessa un atout di superiorità.

La Pioneer invece continuò il miglioramento genetico e divenne leader della produttività con le sue varietà. Visto poi che la Monsanto aveva sfondato si è unita alla Dupont per trovare i finanziamenti necessari per passare alla via transgenica, ma non è ancora arrivata a fare come la Monsanto.

Quindi la MOnsanto ha snobbato il miglioramento genetico per via classica e questo a mio avviso è stata un'avventatezza che potrebbe pagare cara se altri con varietà più performanti riusciranno anche loro nella transgenesi.

@Alberto: grazie per le utili precisazioni che sono coerenti con quanto sapevo. Però vorrei capire meglio l' ultima ipotesi che fai sul futuro dello sviluppo genetico. Le varietà più performanti di cui parli (che potrebbero spiazzare quelle della Monsanto) sono già adesso varietà tradizionali più performanti delle altre cultivar esistenti che poi verranno ingegnerizzate o sono varietà che la trasgenesi (e se sì' in che modo?) renderà più performanti?

In tutte le prove sperimentali che si fanno in Italia da anni (si tratta quindi di vareità convenzionali) la Pioneer ha sempre avuto varietà migliori della Asgrow ( il marchio è stato mantenuto). Ciò significa assemblaggi e combinazioni genetiche che in campo danno risultati migliori.

Se quindi tieni presente che un transgene inserito in varietà scarsa non la migliora, ma la modifica solo, allora comprendi che gli attuali transgeni che conferiscono un carattere esogeno se non sono inseriti in un contesto genetico molto buono non si crea una conbinazione vincente.

All'agricoltore non interessa diserbare facile o non avere piralide se le pannocchie sono la metà di un'altra varietà convenzionale.

La trangenesi è agli albori, fra trent'anni rideranno degli OGM attuali, come pure delle discussioni pro e contro, loro avranno già realizzato il trasferimento di geni implicanti la produttività, la modifica nella composizione della derrata ecc. ecc. In altri termini il miglioramenteo dell'assemblaggio genetico di base si farà combinando metodologie classiche, MAS, transgnesi e quant'altro si scoprirà

Ho capito, Alberto; restiamo in attesa che nel futuro i ricercatori realizzino quello che negli ultimi 15 anni non hanno ottenuto: individuare i geni implicanti la produttività e migliorare le rese intrinseche in maniera tanto (o quasi) significativa quanto a suo tempo Strampelli e colleghi aveva effettuato successo.

alberto: c'è da dire che al tempo di Strampelli le rese erano bassissime, se le paragoniamo a oggi, quindi era più facile, in un certo senso, migliorare. In ogni caso a mio parere queste tecniche daranno il loro meglio non tanto per migliorare le rese ma per rendere resistenti le piante a virus, muffe, patogeni vari

Infatti dario è quello che sostenevo: migliorare ulteriormente rese che sono cresciute moltissimo in passato (lentamente nel corso dei secoli con una grande accelerazione ai tempi di Strampelli ed in quelli, successivi, di Borlaug) sarà sempre più difficile per ogni tecnologia.

Se poi gli ogm pesti-resistenti saranno (sempre se saranno, visto che non è affatto facile sconfiggere con i prodotti di pochi geni le torme di agguerritissimi virus, muffe e patogeni vari rinforzati da milioni di anni di selezione naturale) un' alternativa di successo (soprattutto a livello economico) ai fitofarmaci prodotti ed usati in milioni di tonnellate per difendere i raccolti e sfamare l' umanità, lo vedremo.

Io lo spero, per le possibili positive ricadute ambientali, ma non possedendo sfere di cristallo, non lo considero scontato. Come sosteneva cristallinamente Trapattoni "non dire gatto ..."

alberto: in realta' per i virus pare abbastanza semplice, seguendo l'esempio del successo (tecnico) della papaya e della patata. Ce ne sono gia' molte decine di piante rese resistenti ai virus, e funziona. Ma sono nei laboratori sino a quando il vento non cambiera' (e temo ci vorranno almeno altri 10-20 anni)

Per muffe e funghi e' piu' difficile, e qui si fa ricorso ai geni di resistenza che si trovano gia' nelle specie selvatiche, e quindi la transgenesi e' solo un modo "veloce" per trasferire quel gene che sarebbe estremamente difficile e costoso (mas o non mas) trasferire con incroci classici.

La mia previsione e' che questi prodotti arriveranno molto prima nei paesi in via di sviluppo, che hanno grossi problemi di infestazioni e pochi soldi per fitofarmaci, e non si fanno grosse menate tipiche dei paesi con la panza piena

Il tuo ragionamento circa i progressi non fa una grinza: se il progresso è stato notevole, esso ci sarà ancora, ma sarà più lento. Questo ragionamento lo fanno anche i genetisti, ma vi sono casi nei quali il loro lavoro li smentisce.

Ti cito ad esempio la produttività della bietola da zucchero in Francia. Le prime coltivazioni di inizio 1800 contenevano il 5% di zucchero e producevano 100 q/li di radici/ha, vale a dire 5 q/ha di zucchero, dopo un secolo si è passati a 24 q/ha, dopo altri cinquant'anni si è passati 40 q/ha, negli anni '80 del secolo scorso si era a 80 q/ha. Ora ti cito le produttività medie dell'ultimo decennio: si è iniziato già con 120 q/ha (dunque in 20 anni abbiamo guadagnato ben 40 q/ha), nel 2005 si sono prodotti 134 q/ha, nel 2008 139 q/ha nel 2009 151 q/ha. In mezzo ci sono annate un po' meno produttive, ma se ne conocscono le cause climatiche. E' facile prevedere per il 2020 la possibilità di produrre 200 q/ha di zucchero.

Te ne do una figurazione: i mmagina un reticolato di 10000 metri quadrati di terra che su ogni metro quadrato di superficie ha due sacchetti da un kg. di zucchero che tu trovi al supermercato.

Ti devo dire che il miglioramento genetico classico non ha ancora finito di stupirmi e di smentirmi, pur tuttavia il tuo ragionamento rimane valido.

Sono d'accordo con te, ma alla condizione che questi paesi accettino gli OGM sfrondando quella pletora di controlli costosissimi che il politico ha preteso da noi (su pressione evidentemente) per poter autorizzare un tratto OGM. Infatti, nei paesi sviluppati con questo sistema si è esclusa la ricerca pubblica dalla possibilità di dare il proprio contributo, mentre nei paesi in via di sviluppo se non c'è la ricerca pubblica che li aiuta difficilmente possiamo sperare nel fare delle multinazionali che devono distribuire dividendi.

@dario: QUANTO pesa la papaya gm sulla produzione mondiale di frutta non gm? QUANTO pesa la patata gm (russa o non russa) sulla produzione mondiale di patate non gm? Le decine di piante che esistono nei laboratori sono esperimenti. Non valgono nemmeno i soldi spesi per il loro ottenimento a livello di ricerca fino a quando (sempre se il “quando” arriverà) non dimostreranno sul campo di essere in grado di ottenere successi commerciali.

E' da 10 anni almeno che i filogiemmini (categoria alla quale dichiaro ufficialmente di inserirti) prevedono la diffusione degli ogm nei Paesi in via di sviluppo, prodotti dagli stessi che darebbero grandi vantaggi ai loro poveri ed affamati (è la versione soft di “gli ogm aiuteranno a combattere la fame nel mondo”).

Il vantaggio dei contadini poveri abitanti nei Paesi poveri c’è, indubbiamente e non va affatto disprezzato, ma è a livello economico ed è garantito dal commercio globale. Non sono loro a mangiarsi i milioni di tonnellate di mais, soia, e colza lasciando stare per ovvi motivi il cotone gm e le coltivazioni di peso assai limitato a livello mondiale come la papaya e la patata gm.

Per me sinceramente le tue previsioni assomigliano a fiduciose aspettative. Sarà per deformazione professionale, ma sono abituato a giudicare in base ai risultati ed ai loro trend quantitativi.

Poi quali saranno i risultati nei prossimi 10 o 20 anni, li vedremo ma, se permetti, questo inossidabile ottimismo dei filo-ogm sui potenziali risultati futuri mi sembra che sia solo in parte motivato da previsioni razionali .

In generale previsioni rigorose o almeno attendibili sullo sviluppo di una tecnologia sono assai difficili e per forza di cose soggette ad un alto grado di incertezza.

E’ pacifico che data l’ importanza del fattore economico ed i diversi fattori sociali e storici implicati , non possono essere effettuate adoperando il metodo scientifico. Ad esempio tu puoi credere tu che i Paesi in via di sviluppo abbiano pochi soldi per i fitofarmaci, ma il business del settore dice che proprio in questi Paesi si stanno spostando le produzioni dell' industria chimica (of course anche per i fertilizzanti) con investimenti da miliardi di dollari e fattori di scala considerevoli .

@Alberto: interessante esempio. Sono curioso di aspettare il 2020 per verificare la previsione delle 200 q/ha (sempre che la canna da zucchero non eroda ulteriormente il mercato della povera bietola). Se ho tempo proverò a trovare i risultati delle rese sulla bietola gm.

@alberto: quanto pesa la papaya tout court? nulla. Quanto conta la produzione di castelmagno nel mercato mondiale? nulla. Il punto non e' quello. Il punto e' che nella comunita' dove e' stata utilizzata e viene utilizzata oggi, le Hawaii, la papaya resistente al virus e' coltivata ormai per piu' del 70% della coltivazione, ed e' servita a risolvere un problema locale.

sui paesi in via di sviluppo: sono ormai in fase di test sul campo i loro prodotti, non certo destinati all'esportazione: cassava, sorgo, banana, melanzana etc. Se poi saranno un successo o un fallimento lo vedremo, ma il "modello" Hawaii (ricerca pubblica + problema locale) e' ormai seguito in molti paesi.

Di bietole GM esiste solo la RR e facilita le operazioni di diserbo, ma la transgenesi non vi apporta nessun contributo aggiuntivo perchè il problema del diserbo è già risolto con i selettivi (chi non lo risolve è perchè non li usa correttamente). Negli USA si parla di aumenti di reddito (reddito non produttività attenzione) del 5, massimo 7/8%. La concorrenza con la canna è sempre esitita ed esiste ancora. La bietola è concorrenziale con la canna solo nella fascia dove sono coltivabili ambedue in quanto può sfruttare le piogge invernali che la canna non può essendo una coltivazione eminentemente primaverile estiva. Tralasciando che la canna si coltiva in paesi con costi di produzione inferiori (struttura sociale diversa) essa ha due atout formidabili: ha costi energetici di trasformazione nulli (la bagassa bruciata produce tutta l'energia necessaria) e l'eventuale trasformazione transgenica può avvalersi della moltiplicazione agamica della pianta; anche se questa potrebbe ssere un freno agli studi per la difficoltà di farsi pagare royalties, ma se va avanti il binomio bressaniniano di ricerca pubblica e problema locale allora penso che la canna arriìverà agli OGM molto prima della bietola.

Dimenticavo di dirti che i numeri citati e rlative alla Francia sono medie nazionali che distinguendo i due componenti significa 850 q/ha di radici a 18% di zucchero. si tratta di acquisire altri 150 q/ha e due gradi di polarizzazione in 10 anni, cioè produrre 1000 q di radici con il 20 % di zucchero.

@Alberto: faostat conferma gli andamenti da te citati sulle rese della bieticoltura in Francia anche se non i valori assoluti perché per i 151 q/ha immagino tu abbia considerato solo le coltivazioni migliori, mentre la media nazionale del 2009 è quasi 94 (comunque un signor risultato) contro gli 82 del 2005 i 76 del 2000 ed i 67 del 1990.

http://faostat.fao.org/site/567/DesktopDefault.aspx?PageID=567#ancor

Se guardi in un mio link passato con molte informazione di dettaglio sull’ impatto misurato o calcolato (in rese, valore aggiunto, pesticidi usati) degli ogm dal 1996 al 2008 troverai che negli USA le rese (ponderali) delle barbabietole da zucchero (comparate a quelle statunitensi, non certo a quelle molto migliori francesi) erano cresciute di quasi il +13% (secondo un farm survey), mentre nel 2008, anno in cui è iniziata veramente l’ adozione massiccia (circa 250mila ettari), si è passati ad un +3,3%. Mi sembra però che nella varietà gm il contenuto di saccarosio è un poco superiore.

@dario se volessi fare una battuta direi "echissenefrega del castelmagno buono per le panze di qualche gastrosnob".

Ma al di là dell' ironia sono d' accordo a ritenere utile per molti Paesi (che se lo possono permettere come quello Stato degli USA che si chiama Hawaii o la Cina, l' India e pure l’ Uganda) ad investire nella ricerca pubblica. Ciò al fine di risolvere (o meglio provare a risolvere) dei problemi locali. Ripeto con me sfondi una porta aperta. Anche se a questo riguardo sarebbe importante individuare QUANTI problemi locali sono stati sollevati (al di fuori dell' Europa, of course) e quanti sono stati risolti davvero prima di parlare di "modello" Hawaii (il futuro per ora non è conteggiabile ed i test devono essere superati).

Per tornare al punto da te introdotto: esso è relativo al problema locale e non è affatto inerente alla lunga (e cavalleresca direi oltre che interessante, almeno per me) discussione tra “Alberto e alberto”. Il nostro punto era se a livello globale l' aumento previsto di qualche miliardo di esseri umani nei prossimi decenni, potesse ottimisticamente essere compensato come produzione di cibo dalla ipotetica crescita delle rese medie delle coltivazioni attraverso il supposto boom delle tecnologie transgeniche agricole.

Sono due tipi di problemi con delle affinità ma su scale completamente diverse.

P.S: se permetti una notazione, capisco che tu da ricercatore pubblico abbia un debole per i tuoi colleghi,ma nel campo degli ogm agricoli è la ricerca privata (di Monsanto e competitori) che ad oggi ha raggiunto i risultati più importanti. Per quanto entrambe le strade abbiano i loro pregi e difetti e sarebbe saggio batterle in parallelo … su chi e come dovrebbe battere queste strade in Italia vi risparmio la battuta

1°Attenzione la Fao ti da la produzione ponderale di radici a 16%. E' un dato calcolato nel senso che per poter comparare i dati statistici si riporta il contenuto di zucchero al 16% e si aumenta (o si diminuisce) la produzione di radici per ettaro. Infatti se tu moltiplichi 94 q/ha per 16% trovi il dato di 151 q/ha di zucchero prodotto in un ettaro che ho riportato. Ecco il perchè della mia prefigurazione al 2020.

2° Vedi che ci ritroviamo anche sul 5% circa da me citato per le bietole GM

P.S. Dato che ti ho condotto a osservare la produzione della bietola, ti faccio fare mente locale sul perchè la coltivazione della bietola è praticamente sparita dall'Italia. Se guardi il dato del 2004 vedi che noi producevamo solo 450 q/ha a 16% (dato gonfiato), mentre quando sono rimasti solo i migliori coltivatori, nel 2006 e seguenti, abbiamo aumentato la produzione di solo 100 q. Dato che l'UE, per gli accordi presi all'OMC, nel 2005 doveva calare la sua produzione del 30% ha deciso di calare il prezzo della bietola del 40% e di dire agli zuccherifici che se rinunnciavano a produrre le quote zucchero loro assegnate gli venivano indennizzate, mentre se continuavano nel 2011 gli sarebbero state ridotte senza indennizzo. L'Italia pedoclimaticamente è messa peggio della Francia, ma loro hanno dimostrato di saper progredire a parità di ambiente, mentre noi siamo cresciuti di molto poco. Ecco perchè spesso dico che l'agricoltura italiana ha dormito negli anni buoni della PAC ed ora è in braghe di tela: prima si cautelava con i prezzi alti e conpensava la mancata produzione, mentre ora oltre ai prezzi è bassa anche la produzione. La constatazione si può trasferire al mais, alla soia e al frumento, sia duro che tenero.

@Alberto: hai ragione, avevo sbagliato 94 non erano i quintali di zucchero ma le tonnellate di radici per ettaro. Per cui con un 16% standardizzato di saccarasio si arriva a 1,5 kg di zucchero per ogni mq di campo. Quindi tornano anche i valori assoluti oltre all’ andamento. Ed è pure vero che le rese della bieticoltura in Italia sono sempre state assai inferiori (e sono pure cresciute meno negli anni) rispetto a quelle transalpine per cui, quando la UE ha rivisto le notevoli sovvenzioni al settore, questa produzione ha avuto un tracollo. Sul mais italico i dati degli ultimi anni sono invece molto meno negativi (rese nella media europea e superficie seminata in lieve declino ma pur sempre importante attorno al milione di ettari).

E' vero quanto dici sul mais, ma potremmo fare di più (le nostre condizioni ce lo permetterebbero), tra l'altro le statistiche del decennio dimostrano che abbiamo anche interrotto il trend di crescita. Un'agricoltura che non sfrutta la produttività (l'unico fattore che dipende dal savoir faire dell'agricoltore) è un'agricoltura destinata ad andare incontro a sempre maggiori difficoiltà, aumentate ancora di più a causa della globalizzazione dei mercati. La Francia ci ha superato sul trend degli incrementi anche sul mais.

salve vorrei fare alcune riflessioni/domande prendendo spunto da questi commenti

@Guidorzi 1@)La Monsanto, venuta in possesso delle sementi non investì più di tanto per migliorarle , ma si preoccupò di modificarle geneticamente, contando sul fatto che la modifica genetica fosse di per se stessa un atout di superiorità. 2@)Se quindi tieni presente che un transgene inserito in varietà scarsa non la migliora, ma la modifica solo, allora comprendi che gli attuali transgeni che conferiscono un carattere esogeno se non sono inseriti in un contesto genetico molto buono non si crea una conbinazione vincente 3@)Quindi la MOnsanto ha snobbato il miglioramento genetico per via classica e questo a mio avviso è stata un’avventatezza che potrebbe pagare cara se altri con varietà più performanti riusciranno anche loro nella trans genesi . In questi commenti sono evidenziate ,alcune criticità ,dal punto di vista agricolo ,degli ogm rr e bt LE scelte della Monsanto ,date le sue condizioni di monopolio, han rallentato il miglioramento qualitativo e produttivo delle varietà di soia e mais rr,bt e non solo Per migliorare la situazione, dobbiam sperare che singenta ,pioneer e altre possano accedere ai mezzi della monsanto o che sia possibile la ricerca pubblica e che sia efficace Oltre il problema segnalato da Guidorzi: Della” COMPLESSITA’ E COSTOSITA’ NEL FARE ACCETTARE IL PRODOTTO DELLA TRASNGENESI CHE NESSUNO HA I SOLDI PER FARLO” Vi è anche quello del profitto speso per promuovere piu o meno lecitamente ogm ,lusso e sprechi anzichè in ricerca . Come mai ? lasciando perdere le questioni morali,è stato giudicato vantaggioso spendere in promozione e pressioni sui governi e non su ricerca?viene da pensare che non ci fosse fiducia nei miglioramenti ottenibili con ricerca o vi è qualche altra spiegazione? Se ho un prodotto che sono sicuro non è dannoso ed è valido , non dovrei aver bisogno di aiuti esterni. Se ho fiducia nella ricerca punto su quella .non su altre strade impopolari o rischiose perché poco democratiche o al limite della legalità Altra considerazione..le valutazioni sui rischi ambientali e sulla salute umana .non escludono assolutisticamente la possibilità di rischi commerciali.. È possibile che la grande distribuzione ( coop,barilla,auchan) etc non abbiano completa fiducia delle valutazioni fino ad ora fatte ? E abbiano qualche dubbio che in futuro possano rivelarsi veritiere e problematiche alcune criticità tipo queste qui considerate :

http://blog.americanfeast.com/public_policy/

e temano l’esplosione di una qualche valutazione,o controindicazione che destabilizzi i loro piani commerciali..? e per questo non si sentano (commercialmente parlando )sicuri degli ogm e puntino su ogm free? Tutti discorsi da pancia piena verrebbe da dire pensando a quello che succede nei paesi del nord africa..teniamo conto che dopo il 2007(prima vi erano eccedenze e si faceva set asside) vi sono stati 3 anni di prezzi bassissimi per le comnmodities, mediamente di 110/120euro/tonn per i cereali che non coprivano i costi di produzione se vi fosse stato un qualche sistema che avesse tenuto i prezzi sui 170/180 euro/tonn in questi 3 anni è molto probabile che si sarebbe prodotto di più . avremmo maggiori scorte.. i prezzi che attualmente sono di( 240/300 euro /tonn ) l’animo e la pancia dei nord africani non sarebbero un tantino calmierati ?

@“Se poi gli ogm pesti-resistenti saranno (sempre se saranno, visto che non è affatto facile sconfiggere con i prodotti di pochi geni le torme di agguerritissimi virus, muffe e patogeni vari rinforzati da milioni di anni di selezione naturale) un’ alternativa di successo (soprattutto a livello economico) ai fitofarmaci prodotti ed usati in milioni di tonnellate per difendere i raccolti e sfamare l’ umanità, lo vedremo.”

Dove si usano rr e bt si sono risolti solo alcuni problemi, ma ,oltre ai problemi di infestanti resistenti ne stanno sorgendo , non sono stati risolti, altri, alcuni a noi sconosciuti .

http://agvanwert.wordpress.com/category/insects/

La strada di coltivare usando altre tecniche di coltivazione e metodi agronomici di lotta, usando le migliori varietà dal punto di vista quantitativo/qualitativo non OGM ,sembrerebbe quella piu faticosa, ma anche meno rischiosa.Per ora noi abbiamo diabrotica ,piralide e qualche problema con infestanti importate. Forse però qualche volta bisogna sapersi accontentare…

http://godlikeproductions.info/tag/gmo/

se le cose stanno cosi, vien da pensare :meglio tenersi problemi che si conoscono e si riesce con un po di impegno e fatica a risolvere , lasciando ad americani e brasiliani .ogm vecchi e nuovi problemi..o mi è sfuggito qualcosa?

Se teniamo presente che una varietà nuova di una pianta coltivata potrebbe avere 30.000 geni che sorreggono altrettante carattaeristiche (produttive, agronomiche, antaomiche, fisiologiche, di resistenza ecc.) e noi ci soffermiamo a guardare il solo gene che è stato introdotto e del quale per giunta siamo sicuri cosa faccia, e poi sulla pase di querst'ultimo ci soffermiamo ad accapigliarci, non ci comprenderemo mai.

Ammetterai che il contesto genetico dei 30.000 geni è preponderante su quello che fa un gene solo. Quindi il guardare e discutere di che cosa può o potrà causare solo questo è fuorviante in quanto per la stessa ragione ci dovremmo preoccupare anche dei 30.000 geni dei quali, essendo contenuti in una varietà nuova, non ne conosciamo fino in fondo quali sostanze genereranno e se qualcuna è velenosa.

Ritornando però all'esempio che io ho fatto e che tu hai preso per ricavarne che gli OGM hanno delle criticità, anche se come ti ho detto sopra fare un discorso così è fuorviante, è sufficiente che ti dica che di varietà di mais trangenetiche (cioè inglobanti il Bt e l'rr o pochi altri geni trasferibili) in America ve ne sono già un migliaio e quindi ecco che le criticità di cui hai parlato spariscono.

Pioneer paga dei diritti di licenza per includere i transgeni della MOnsanto o di Syngenta intanto che ci arrivano anche loro. Intanto però continuano la ricerca ed miglioramento del mais, della soia e qunt'altro. Non li vende mica solo la MOnsanto il mais o la soia OGM, quindi le criticità spariscono.

Ti ricordo che chi brevetta qualcosa, oltre ad avere dei diritti ha anche dei doveri e uno di questi è che non può rifiutarsi di fornire il suo ritrovato intellettuale brevettato a chi glielo richiede ed è disposto a pagare il dovuto. Se lo facesse gli può essere tolto il brevetto.

Guidorzi Nel caso della rr ,dal punto di vista agricolo la criticità la sta dando l’uso prolungato del glifosate che genera resistenze e problemi sanitari sulla pianta (più suscettibile a malattie fungine) Se ho ben compreso quello che dicono nel link per assurdo seminassi soia rr e non usassi gliphosate non ho questa criticità.

Nel caso del bt dal punto di vista agricolo le criticità attuali sono date da: _ tempo necessario (ammesso che questo accada da noi) affinché le nuove varietà ogm che lei cita come disponibili in America ,siano effettivamente disponibili da noi,differenziate come lo sono le varietà non ogm.( i numeri ridotti per certe esigenze commerciali non fanno pensare a una evoluzione di molte differenzazioni,a causa dei costi e dei ridotti margini nella versione ogm Che ben che vada si avrà dopo anni)

_tutela delle tecnologie vecchie e nuove ,(zone rifugio,rotazioni etc,) _dal fatto che queste tecnologie per ora controllano solo piralide,per diabrotica occorre attendere non si sa quanto,per nottua afidi ferretti virus etc cimici rimangono per ora problemi da risolvere con altri mezzi(chimici,agronomici ) I tempi sono questione fondamentale Può essere che le cose tra 30 anni siano diverse nel frattempo nessuno sa quanti e quali ogm passeranno se passeranno

Attualmente è possibile ricavare più plv da varietà non ogm , se infestanti, piralide e diabrotica si contengono con altri mezzi. agronomici ,che offrono il vantaggio di ridurre problemi, che il bt e l’rr non contengono(notue,elateridi,afidi etc,infestanti resistenti cimici etc ) In futuro le cose potrebbero cambiare a favore degli ogm rr e bt se si immettono sul mercato nuove varietà solo dopo avervi inseriti i transgeni rr e bt..e i nuovi ,oppure se il miglioramento produttivo non sarà più significativo. Le criticità dovute all’uso ripetuto di gliphosate , (ci sarebbe anche il clearfield ma in quel caso sembra si voglia tener conto della criticità di generare resistenze)non le risolvono ogm rr ,dato che aumentano proporzionalmente all’impiego Questo sta succedendo dove si coltivano rr e bt Ci sono i tempi e i mezzi per sostituire rr e bt prima che le criticità si sviluppino ulteriormente? Agevolano l’introduzione di ogm da noi: -La non differenzazione tra ogm e ogm free La monocoltura L’assenza di nuove migliori varietà non OGM( questo è il mezzo più potente di cui dispongono le multinazionale sementiere, esiste qualche modo per contrastarlo?) promuovere..ogm tenendo nascoste il più a lungo possibile le criticità alcuni di questi mezzi sono stati usati e altri potrebbero essere usati. Questo ormai è stra noto ,come le interferenze politiche sulla scienza. Il giochetto ormai non funziona più.anzi sta sortendo l’effetto opposto a quello desiderato.

Buon pomeriggio a tutti, sto cercando maggiori informazioni sul vino fragolino e sul vero motivo del divieto di vendita in Europa (tranne l'Austria). Ho provato a fare una ricerca su internet ma non mi hanno convinto molto quelli che riiportano il problema al metanolo...approfitto dunque di questo post sulle uve per chiedere cortesemente a Bressanini & Company la verità in chiave scientifica. Grazie a tutti per l'attenzione. Maria Antonietta

Per la legislazione comunitaria si può chiamare vino solo quello proveniente da Vitis vinifera.

Attualmente siamo a questo punto.

- È consentito coltivare l'uva fragola in tutto il territorio italiano "per il consumo familiare dei viticoltori". L'espressione sembra restrittiva rispetto a quella precedente che vietava solo la produzione a scopo di commercio, ma in realtà è praticamente coincidente: il consumo familiare non esclude ovviamente la possibilità di regalarlo ad estranei alla famiglia. - L'obbligo di estirpazione per i vigneti che superano l'estensione richiesta per destinare l'uva ad un uso familiare, sia pure allargato, concerne solo le viti "per la produzione di vino"; non si applica perciò a coltivazioni destinate a produrre uve da tavola. - È punibile chi mette in commercio vino fragolino prodotto da vitis labrusca. Se poi egli riesce a produrlo in altro modo … sono fatti suoi! - Non è punibile chi distilla l'uva fragola.

o mi faccio del fragolino, con l'va ben matura (quasi un passito)

l'ho fatto analizzare, avendo letto delle leggende sul metanolo, non volendo intossicarmi:

nessuna traccia di metanolo, che con i moderni metodi di analisi, sensibilissimi, quasi lo trovi anche se non c'è

poi la dicitura fragolino, probabilmente è ambigua: al supermercato vendevano del "Fragolino", leggendo l'etichetta era vino aromatizzato alla fragola

il prezzo era anche basso

da qualche tempo mi sto appassionando al mondo della viticoltura e dell'enologia e mi accorgo che ci sono molti aspetti irrazionali, arcaici, burocratici che ad un occhio freddamente scientifico non hanno molto senso ero convinto che il divieto di vendita del fragolino derivasse dalla possibile presenza di metanolo, ma apprendo che non è così quindi stiamo dicendo che la vinificazione della vitis labrusca è vietata per il semplice motivo che non essendo vitis vinifera non può produrre quella cosa che viene chiamata vino? mi sembra un po' una tautologia...

Grazie Alberto e Antonio per le vostre risposte. È quindi giusto dire che il divieto di vendita del vino fragolino (ottenuto dalla Vitis labrusca introdotta dagli USA per combattere la fillossera) non ha alcun motivo salutistico visto che non presenta livelli di metanolo maggiori di quelli di altri vitigni autoctoni europei? Può essere che l'Unione Europea ha vietato la commercializzazione di questo vino per solo motivi protezionistici del mercato delle uve europee? Ho letto che però l'Austria ha ottenuto una deroga alla legge in questione e si è tenuta ben stretto un vino tipico prodotto proprio con questa specie di vite americana... Sono incuriosita da questa vicenda perché mi sembra tanto un atto di terrorismo alimentare che si è fatto in passato su questo vino (sostenendo una tossicità che in realtà sembrerebbe non esserci) al fine di evitare la concorrenza con i vini pregiati e per impedire un mercato clandestino del fragolino...in pratica sembrerebbe una strategia di marketing che tanto assomiglia a quello che sta subendo l'olio di palma ultimamente, additato come fonte di tutti i mali 😊

Secondo Wikipedia è lecito commercializzare il fermentato di uva fragola. Basta NON chiamarlo vino.

Ha detto bene exCommesso si tratta solo di una regolamentazione che dice che "vino" è solo quello ricavato da Vitis vinifera, mentre la vitis labrusca non "da vino" ma semplicemente una "soluzione alcolica" che può anche avere una denominazione di fantasia, ma non è definibile commercialmente vino.

Tuttavia la proibizione di coltivare vitis labrusca ha anche una motivazione di evitare le frodi, nel senso che vi era chi produceva ibridi produttori diretti ti po Clinton ad esempio per ricavarne sostanze tanniche di cui la vite americana è più ricca. Sostanze tanniche + acqua + zucchero e relativa fermentazione dava vino che si affrancava dal coltivare la vite per ottenere il vino.

Scusate non sono stato esaustivo nel senso che che dovevo usare i verbi all'imperfetto nel senso che quanto detto sopra era valido quando il vino era un alimento e l'alcol era la parte più importante, perchè forniva energia. A quei tempi il bouquet era spesso un optional e quindi il vino artificiale aveva un suo mercato. Cosa che ora non ha più.

ho letto, tempo fa, ma Alberto saprà confermare o no, che la proibizione del vino fragolino fu dovuta ad evitare che prendesse il sopravvento sulle viti italiane. L'uva fragola non richiede i trattamenti convenzionali, quindi più facile da coltivare e si intravvedeva il rischio che prendesse il sopravvento a scapito di tutte le altre

Antonio, anche io credo che il motivo del divieto di commercializzazione sia più dovuto più ad una esigenza di protezione del mercato delle viti autoctone piuttosto che dalla presenza della alta concentrazione di metanolo, come si è invece lasciato credere...mi confermate che in effetti anche nel fragolino prodotto a livello "familiare" non c'è il problema della tossicità del metanolo? Grazie ancora per l'attenzione

queste ultime informazioni non fanno che confermare le mie perplessità posso capire (fino ad un certo punto) la volontà di proteggere le realtà produttive locali, ma alla fine è il mercato che comanda: se il "vino" fragolino piace si vende, se non piace non si vende, dov'è il problema? del resto come ha detto guidorzi anche il vino artificiale prima aveva un suo mercato

a proposito, guidorzi, puoi spiegare un po' meglio questa cosa delle frodi? come si "assemblava" questo vino artificiale? ora non è più consentito?

siccome lo bevo io e c'è questo luogo comune del metanolo l'ho fatto analizzare da un laboratorio ultra super

ce ne fosse stato lo 0,0001% l'avrebbero trovato, invece neanche tracce

anche nelle TESTE delle grappe autoprodotte un decimo del limite legale non capisco da dove venga nei casi dove lo si trova in quantità significative probabilmente cattiva lavorazione nell'acquavite di susine di un amico "approssimativo" ce n'era lo 0,5%, anche se il sapore era buono

Quando si faceva il vino con acqua e zucchero il problema erano i coloranti del vino artificiale che si otteneva. Cioè l'acqua assorbita dalle radici e l'acqua cavata dal pozzo sempre acqua era, lo zucchero una volta trasformato in alcol sempre alcol etilico è, ma i coloranti del vino sono particolari e quindi la sofisticazione era svelata da queste analisi (ora le analisi sono più sofisticate e probabilmente riuscirebbero a svelare altre differenze). Evidentemente è ancora proibito fare vino artificiale, come lo è stato da sempre.

E' presente nei vini in tracce (0,5/0,12 per 100 ml di alcol contenuto nel vino), esso si forma dalla demetossilazione delle sostanze metilate dei mosti come le pectine e le sostanze coloranti. Appunto per questo l'alcol metilico è più presente (ma sempre rimanendo presente i modestissime quantità e per nulla nocive) nei vini rossi rispetto ai bianchi, nelle vinificazioni su vinacce rispetto alle vinificazioni in bianco, nei vini ricavati dalle uve di vitis vinifera rispetto agli ibridi produttori diretti di vitis labrusca e altre specie di vite americana (Aestivalis e Riparia), ma solo perchè in queste vi sono molte più sostanze coloranti. Se volete, al limite in certi vini del Sud Italia, come ad esempio il Manduria, vi è più alcol metilico che non nelle uve nere a polpa bianca.

Quindi rispondendo a Maria Antonietta è vero che a parità di tutte le altre condizioni vi è più alcol metilico nei vini derivati da viti americane, ma si tratta sempre di tracce seppure maggiori e minori. In definitiva la questione alcol metilico è stata usata come spauracchio.

E' uno scandalo del 1986 in cui per innalzare il grado alcolico di certi vini molto andanti e quasi invedibili per lo scarso grado alcolico si aggiunse alcol metilico appositamente (era alcol metilico di sintesi e quindi poco costoso), solo che non sapevano neppure cosa facevano in quanto ne aggiunsero quantità esagerate e che provocarono cecità, danni neurologici e 23 decessi. Per inciso dobbiamo dire che se mise in ginocchio la nostra produzione vinicola da esportazione, fu anche la goccia che fece traboccare il vaso e ci obbligò a rivedere la nostra produzione vinicola e farci arrivare dove siamo ora.

I primi coloni europei che colonizzarono la costa est degli USA non potevano rimanere senza vino e quindi si adattarono a vinificare l'uva delle viti selvatiche che crescevano spontanee. tuttavia esso non incontrò i gusti dei coloni (lo bevevano, ma obtorto-collo). Pesarono allora di importare i vitigni europei, ma fu una debacle perchè i vigneti ben presto deperirono, si dette la colpa al clima ed al terreno, ma allora non si sapeva della presenza in quelle terre di malattie sconosciute in Europa (fillossera, oidio peronospora). Quando si portarono le viti europee sulla costa Ovest invece non si verificò nessun caso di deperimento, la cosa si spiegò poi quando si conobbero le malattie dette sopra e si scoperse che la peronospora attecchiva poco (climi più secchi) e che la fillossera non c'era (montagne rocciose facevano da barriera). La fillossera poi arrivò anche in California, ma portatavi dall'uomo.

In definitiva la costa Est dovette adattarsi a fare vino con le viti americane, ma queste viti erano da migliorare e non è che i vini che spesso sapevano di volpino o di lampone. Si pensi che per questi motivi nel 1850 sulla costa est non vi erano più di 2800 ettari di vigneti. Si cominciò allora a migliorare queste viti americane e se ne cminciò ad importare dei piedi a scopo di coltivazione di uva da tavola nei broli famigliari (la varietà Isabella arrivò in Italia nel 1825 quando della fillossera non si sapeva l'esistenza). Quando a metà del 1800 l'oidio cominciò ad imperversare anche in Europa allora si intensificò l'importazione di materiale americano appunto per la sua resistenza alla malattia. Fu in questo modo che si importarono degli insetti di filossera presenti nella terra che atorniava le radici e che praticamente distrussero gran parte della viticoltura europea (prima la Francia e poi gli altri paesi mediterranei.

In conclusione le viti americane furono la causa del disastro, ma anche la fonte del rimedio, ma ci si mise un po' per capirlo: come si poteva ammettere che una pianta che portava l'insetto parassita e quindi malata potesse essere anche la pianta che debellava il parassita.?

Fu proprio presso un viticoltore il bordolese che aveva una grande collezione di viti americane e che era stato accusato di essere l'untore che si scoprì che certi varietà di vite americane erano esenti dalla fillossera (ad esempio le varietà americane isabella, Delaware e Catawba non erano resistenti e chi le utilizzo fece un buco nell'acqua).

I francesi, in piena devastazione della fillossera, inviarono Planchon (uno specialista) in USA per ricercare le viti colà esistenti che mostravano resistenza. Ne trovò nelle specie in rotundifolia. In aestrivalis ( la varietà Jaquez) in cordifolia e riparia ( Clinton) in labrusca (Concord).

Su questa base i francesi cominciarono a provare questi vitigni nei terreni di vigne morte per effetto della fillossera e ne osservarono il comportamento, e dopo la verifica dellla resistenza alcuni cominciarono a ad innestarvi sopra la vite europea (vinifera). Altri invece lasciarono andare a frutto gli ibridi produttori diretti (si chiamo così perché sono incroci di viti americane che producono uva sfruttabile per vinificare). Insomma per un po’ hanno fatto come i nostri veneti che piuttosto che bere acqua preferirono il “grinton” (nome dialettale del Clinton. Da notare che non tutte le varietà avevano un senso marcato di sapore di volpino.

Adesso termino qui ma vi assicuro che la storia della propagazione della fillossera è un tipico esempio, ma che non insegna nulla purtroppo, di quanto si discute oggi a proposito di OGM, di varietà antiche e balle varie. Solo che il tempo ha spazzato via tutte le teorie sballate e il vino in Europa si fa ancora con la vitis vinifera innestata su piede americano ed i vari simil-Petrini o simil-panzana Shiva sono caduti nel ridicolo. Faccio una previsione anche i Petrini e le Panzane doc faranno esattamente la stessa fine, solo che non esisterà nessuno che prima avrà dato loro calci in culo.

sopra troverai la mia risposta, ma che non compare ancora essendo "sotto censura".......

Grazie 1000 Alberto per la tua dettagliata analisi. Sei una fonte preziosa 😊. Nota: per la cronaca, mi trovi d'accordissimo con il tuo pensiero in merito agli OGM.

grazie guidorzi, finalmente è comparsa la tua risposta

Vitigni resistenti alla peronospora ottenuti dall'Università di Udine (il gruppo di lavoro e finanziamento comprendeva anche altri soggetti), tramite incroci e MAS, che però attualmente non si possono usare nelle vinificazioni DOC eccetera per un momentaneo(si spera) vuoto normativo dei disciplinari. Non ho trovato traccia in questo post, ne avete già parlato da altre parti?

Corrado li ha creati il Prof Morgante.

Alberto, lo so. Gli incroci li ha fatti il gruppo di arboricoltura del prof. Testolin, la coltivazione in serra delle piantine è stata fatta nell'azienda agraria dell'università, le analisi genetiche sulle piantine (MAS) le ha fatte il gruppo del prof. Morgante, le prove di microvinificazione le ha fatte sia il prof. Zironi sia la cantina dei vivai di Rauscedo, che ha anche seguito la pratica di iscrizione al registro attualmente detiene i diritti di moltiplicazione. Delle quasi 20.000 piantine ottenute dagli incroci e reincroci, ne hanno registrate 3 nuone varietà dopo circa 8 anni di lavoro. Oltre a te e a me, in quanti sanno dell'esistenza di nuone varietà da vino ottenute in modo tradizionale su cui si fanno 1 o 2 trattamenti per la peronospora, contro i 18 - 25 (in queste zone) delle altre varietà?

Il gruppo del prof. Morgante ha anche registrato, assieme a ERSA FVG che ne detiene i diritti di moltiplicazione, alcune varietà di soia a ciclo breve e intermedio, a basso contenuto di fattori antinutrizionali.

Non lo sa nessuno, solo che se lo sapessero direbbero che sono molto meglio le varietà antiche!!!!!.

Altro aspetto, nessuno si è peritato di valutare i costi di una operazione del genere? Sono tantissimi e quindi perchè si contesta che per un creatore varietale sia un latrocinio pretendere una giusta remunerazione per il suo ritrovato intellettuale. Dato che si tratta di painta a moltiplicazione agamica perchè si è dei quasi criminali a far valere un eventuale brevetto?.

Il costo è stato ingente, a memoria qualche milione di euri di ricerca e sviluppo. Poi arriva il "furbo" di turno e si fa la fine della batteriosi del kiwi ... Decenni di studio e lavoro buttati all'aria, e di investimenti degli imprenditori agricoli, che rischiano di fare una gran brutta fine. O della Xilella ...

Corrado Un grosso freno (a mio giudizio) all’espansione dei vitigni resistenti penso sia l’assenza di una sperimentazione a lungo termine sulla vinificazione e un’incertezza sulle caratteristiche organolettiche del vino ottenuto, soprattutto per l’invecchiamento.

Penso, nella mia somma ignoranza, che l’unico modo per avere varietà resistenti e al contempo conformi alle varietà tradizionali sia l’ingegneria genetica, forse il CRISPR, Alberto?

Hanno già fatto vino e ce lo ha fatto assaggiare il Prof. Morgante a Mantova. Niente male!!!

Alberto Come l’hai trovato? Era diverso dal merlot “normale”? Comunque ricordo un articolo, forse su millevigne, che parlava di un merlot resistente alla peronospora ottenuto tramite incrocio (e reincroci vari) tra un clone di merlot ed una vite selvatica asiatica; nell’articolo parlavano di perplessità più che altro sull’invecchiamento del vino, sul vino giovane erano piuttosto positivi.

Simone, per quanto ne so, stanno facendo prove di invecchiamento ai vivai di Rauscedo. Io ho assaggiato i bianchi: al mio palato, quasi identici ai vitigni di partenza, credo friulano e sauvignon.

Nessuna particolare differenza con altri vini da vitigni autoctoni

Alberto Corrado nel vostro settore siete sempre due fari che si leggono sempre volentieri per le risposte mirate che sapete dare Simone scrive che ricorrendo all'ingegniera genetica la via sarebbe stata meno difficoltosa, poteva veramente essere una soiuzione ottimale? Logicamente seguendovi anch'io ne sono diventato un sostenitore

Azz dimenticavo sono un estremo difensore del buon vino

Si sarebbe speso mooolto meno tempo (soldi non saprei, trattandosi di OGM in base alla normativa ...) con migliori garanzie sul risultato qualitativo dei vini e sui risultati dell'eventuale invecchiamento. Non lo dico io, ma riporto quanto mi disse il prof. Testolin qualche tempo fa.

Corrado rileggo ora da Huffpost un articolo dell'Onorevole Rossella Muroni la quale ha presentato una mozione per un'uso consapevole di pesticidi e quant'altro. In particolare se la prende con il glisolfate, ma mi sembra d'aver capito da voi che con gli OGM sarebbe possibile ridurne l'impiego e che se usato in quantita moderate ha un tempo di scomparsa veloce dal terreno Poi continua con altre amenità, ma se veramente applicassimo queste regole quanto aumenterebbe l'importazione di prodotti agricoli?

Non mi ricordo in dettaglio il meccanismo di queste piante resistenti, il rischio concreto è di trovarsi nel giro di qualche lustro di nuovo al punto di partenza. Sta di fatto che se si vuole continuare a produrre uva fin sotto le case, diventeranno un obbligo tecnico. Anzi, si dovranno fare altre varietà resistenti anche ad altri patogeni, per continuare la viticoltura in molte realtà.

Non penso sia interessante, ma questo è il link https://www.huffingtonpost.it/rossella-muroni/un-segnale-forte-verso-unagricoltura-sostenibile_a_23680272/?utm_hp_ref=it-homepage

Fabio, quasi metà del glifosate in Italia è acquistato da soggetti non agricoli (autostrade, ferrovie, comuni, casalinghe). Ovviamente non si sono scomodati di controllare i dati, pubblici, del ministero della sanità. La magistratura friulana si sta accanendo contro il mesurol, insetticida usato anche in viticoltura, ma soprattutto per proteggere i semi di mais da cinghiali e fagiani. Un mio coscente agricoltore, perito agrario nel 1985, ha lasciato inavvertitamente scadere il patentino e ha dovuto rifare l'esame. Insieme a lui c'era un viticoltore a cui la commissione ha fatto domande sui motivi per cui si fa la rotazione delle colture orticole ... Ognuno delle "alte sfere" ha nel mirino qualcosa dell'attività agricola che non gli garba, ignorando il contesto più generale e le ragioni tecnico-agronomiche.

Corrado probabilmente ogni anno deve rifare un pezzo di vigneto così che dopo 7 anni invece di avere rondinella avrebbe magari pinot così potrebbe avere un bel potpourri di uve Corrado questa purtroppo è la burocrazia ottusa che impera in Italia e che abbinata alla ideologia deficiente, corruzione dilagante, ci ha fatto diventare il fanalino di coda dell'Europa Purtroppo ne so qualche cosa avendo passato una vita a lavorare con gli enti pubblici Purtroppo, anche se avessimo una burocrazia illuminata ci pensano i dilettanti allo sbaraglio a darci il colpo di grazia, ma forse siamo noi che da masochisti andiamo a cercarceli

Non ho riletto discorso con troppi purtroppo

Mamma mia come siamo conciati!!! Sapevo che negli "empori" dei cinesi si poteva comprare prodotti fitosanitari a scontrino e senza patentino. Nella rivendita da cui sono appena uscitto mi hanno detto che, con la nuova etichettatura, la signora Maria casalinga può comprare a scontrino il glifosate 12 litri alla volta, in barattoli da mezzo litro, senza patentino nè codice fiscale! E poi fanno queste mozioni sull'uso eccessivo e sconsiderato dei prodotti fitosanitari in agricoltura!

Vado a vivere in Antartide ...

A quanto mi risulta per il gliphosate non è necessario il patentino neppure per uso professionale, Appunto per la pressoché nulla tossicità e per la pronta trasformazione che avviene nel terreno.

Solo l'ideologia ha stabilito che il gliphosate attenta la salute e la sopravvivenza dell'umanità

Alberto, per " tutto" a livello professionale oggi serve il "patentino". Se qualcuno vendesse acqua come fitofarmaco, per acquistarla e distribuirla dovresti avere il patentino. In effetti una volta il patentino serviva solo per prodotti allora classificati come prima e seconda classe.

Corrado, è sempre stato così. Ricordo quando dovevo esibire il patentino per il propoxur (allora seconda classe) liberamente venduto a scaffale come baygon nello stesso negozio per uso domestico contro scarafaggi e formiche.

Coletti Per il gliphosate (ma sicuramente anche per altri fitofarmaci) dipende dalle quantità, fino a mezzo litro si compra con scontrino e via, dalla confezione da litro in su (meno cara in effetti) bisogna presentare il tesserino e devono fatturare, anche al privato.

Il decreto 150/2012 e il conseguente decreto attuativo del 2014 (PAN, Piano d'Azione Nazionale) sui prodotti fitosanitari parla chiaro: obbligo di tracciare, con patentino o codice fiscale, TUTTI i trasferimenti (trasporto, vendita, utilizzo) di TUTTI i prodotti fitosanitari, anche quelli per piante ornamentali e hobbisti vari. Tanto per fare un esempio, l'amministratore di condominio che fa trattare con lo zolfo la siepe, deve tenere il "quaderno di campagna" allo stesso modo del tecnico comunale responsabile della manutenziondei vialetti del cimitero. Se il trattamento lo distribuisce un "terzista" (giardiniere, cooperativa) è l'operatore a dover essere in possesso del patentino, poi deve compilare entro 72 ore la dichiarazione di avvenuto trattamento (obbligatoria già dal 1987 per i terzisti agricoli) e consegnarla all'amministratore/tecnico comunale. Poi l'amministratore/tecnico dovrà registrare entro 30 giorni dal trattamento, su apposito "registro", quanto è stato fatto. Uguale uguale a quello che devono fare gli operatori agricoli già dal 1987. La competenza per le norme di dettaglio è regionale: l'ERSA FVG aveva emanato nel 2015 una circolare stabilendo che la "modica quantità" massima acquistabile senza patentino ma con codice fiscale era 1 kg o litro (al giorno per singolo acquisto), in attesa del decreto attuativo sulle nuove etichette PPO e PPE. Ora che ci sono le nuove etichette, i rivenditori si sentono "sollevati" dall'obbligo di tracciabilità. Non sono fuori tema: non avete idea di quanti pensionati con mezzo ettaro di viti siano stati convinti a fare il patentino per i prodotti fitosanitari ... A 250 euro a corso, è un bel mucchio di soldi per chi fa i corsi.

, la signora Maria casalinga può comprare a scontrino il glifosate 12 litri alla volta, in barattoli da mezzo litro, senza patentino nè codice fiscale!

Corrado, immagino quel prodotto che ha nome che comincia con "round" e finisce con "up"... E non è nemmeno la più grande che puoi acquistare tranquillamente per il giardino...

L'assurdo è che se lo stesso prodotto è in barattoli da 1 litro, etichettato "per uso professionale", ne può prendere solo 1 al giorno con il codice fiscale e dichiarazione che l'utilizzo è non professionale.

Corrado mi hai dato una bella idea gliphosate omopeatico è sempre acqua pura ma magari qualcuno ci casca D'altronde se l'omeopatia funziona per gli esseri umani!!! Perché non dovrebbe andare bene per la coltivazione biodinamica

Fabio, il disciplinare del biologico (e conseguentemente del biodinamico) ammette il controllo delle infestanti solo con mezzi non chimici, quindi niente glifosate omeopatico dinamizzato ...

Ma per quale Italia le regole che hai enumerato hanno valore?. Ti assicuro che non è proprio così ovunque, almeno fino a quando gestivo una rappresentanza su tutto il territorio nazionale.

Alberto, il DL 150/2012 e il PAN sono in vigore dal 1 gennaio 2014 in tutta Italia. Su alcune cose particolari sono normative regionali successive (i moduli di delega per familiari, terzisti e dipendenti, per esempio, sono scaricabili dal sito ERSA FVG in quanto emanati dal dirigente nel 2015). Altro esempio, ogni regione stabiliva la "modica quantità" dei prodotti meno pericolosi da acquistare con codice fiscale in assenza di etichettatura "per uso non professionale". In teoria non dovrebbe essere possibile ordinare su internet una tanica di prodotto fitosanitario senza comunicare il numero di patentino al venditore, eppure è possibile acquistare in contrassegno taniche e taniche senza che ci sia il rispetto della normativa. In teoria i vettori tipo DHL non potrebbero trasportare i prodotti fitosanitari se sono sprovvisti o del patentino ADR o di quello dei prodotti fitosanitari, eppure lo fanno. Ci sono le leggi, sono fatte così così, sono di fatto impossibili da rispettare completamente, eppure non un fiato da Coldiretti & associati per rendere il PAN utile e rispettabile da tutti, alla luce di ciò che è fattibile e di ciò che è pura follia. Però se escono belli belli con una mozione per aumentare la sorveglianza (= fare più verbali a poveri cristi che fanno già così fatica ad arrivare a fine anno, e con i verbali li costringi a chiudere e affittare o vendere i campi). Giusto oggi ho scoperto che i NAS stanno chiedendo alle rivendite di semi gli elenchi con gli ordinativi di mais trattato mesurol. ERSA ha emanato delle linee guida nebulose quando non attuabili per la semina con semi conciati, non specificando se valide solo per la concia con insetticidi o anche con fungicidi. E poi la casalinga o il muratore (o il giardiniere che lavora a nero) possono comprare liberamente cartoni di prodotti "per uso non professionale" senza il benchè minimo obbligo di tracciabilità. E poi sono gli agricoli che inquinano, con quel che costano i prodotti e con quello che pagano i raccolti!

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